«Riguarda gli appalti pubblici e non credo condizionerà il percorso normativo in Parlamento volto a ripristinare il concetto delle tariffe minime (mi piace però parlare di onorario) come elementi a tutela di salute e qualità della prestazione professionale». Pur non condividendola, Giuseppe Renzo presidente della Commissione Albo Odontoiatri ridimensiona la sentenza del Consiglio di Stato 4614 del 3 ottobre scorso che ha stupito molti professionisti. Per i giudici, una Pubblica Amministrazione può bandire appalti o concorsi per incarichi gratuiti, anche per le professioni regolamentate da albi. La sentenza pone fine a un contenzioso tra ordini di architetti, ingegneri e geometri contro un bando del Comune di Catanzaro che eroga un rimborso spese di 250 mila euro e un compenso simbolico di un euro per l’incarico di redigere il Piano regolatore comunale. Il Tar aveva dato ragione agli ordini sostenendo che il corrispettivo negli appalti è imprescindibile. Per il Comune, l’ordinamento non vieta una prestazione d’opera professionale a titolo gratuito a vantaggio di una Pa, e la consuetudine di pagare l’onorario a un professionista va slegata dalla qualità di quest’ultimo. Per il Consiglio di Stato, pur non pagato, chi ottenesse l’appalto avrebbe buona pubblicità che gli assicurerebbe ulteriori committenze. È vero che, codice degli appalti e normativa Ue alla mano, il corrispettivo è “elemento strumentale ed indefettibile per la serietà dell’offerta e l’inerente affidabilità dell’offerente la prestazione”.
Ma questo nel privato, dove la concorrenza garantisce l’efficienza del mercato. Ove sia di scena il pubblico committente il significato di onerosità è attenuato e può cedere il passo alla scelta di compensi apprezzabili economicamente ma non finanziari. Per Renzo occorre circoscrivere la portata della sentenza, «che riguarda le prestazioni professionali in favore della Pa in specifiche gare di appalti pubblici. Per la professione medico odontoiatrica la gratuità è già prevista all’ultimo comma dell’articolo 54 del vigente codice di Deontologia Medica: “il medico può prestare gratuitamente la propria opera purché tale comportamento non costituisca concorrenza sleale o sia finalizzata a indebito accaparramento di clientela”. Di altra natura, e non condivisa, è la funzione di richiamo simil- commerciale della visita gratuita. La visita è un atto medico e deve rappresentare quel momento importante mediante il quale si determina un percorso di condivisione e alleanza tra medico e paziente. Chi usa tale sistema come “specchietto per le allodole” è un cattivo professionista alla ricerca di “clienti” o un professionista mancante di etica».
Renzo sottolinea che la sentenza «presenta aspetti discutibili e criticità» ma dubita possa avere tangibili ricadute su medico o dentista. «Tra l’altro, la gratuità della prestazione per un libero professionista non è sempre un elemento negativo. Si pensi alla consuetudine fra colleghi di non richiedere l’onorario per le cure prestate. Gli odontoiatri poi sono da tempo impegnati, nei limiti del possibile, a svolgere le proprie prestazioni in favore di categorie indigenti. Resta il fatto che il concetto di onorario professionale è oggetto, in questo momento storico, di profonda rivisitazione: si pensi all’abolizione delle tariffe minime professionali attuata dalla Legge Bersani 248/2006 e il dibattito parlamentare in corso sull’equo compenso». Da sempre si dice che rispetto ad altri mercati la sanità pubblica è meno regolata dalla legge domanda-offerta; la sentenza però usa questa peculiarità del pubblico per ammettere i contratti senza corrispettivo. Quali implicazioni? «La Cao nazionale e la Fnomceo hanno sempre chiarito, anche a livello deontologico, che i medici e gli odontoiatri svolgono una prestazione a tutela della salute pubblica che prevede un onorario da adeguare alla complessità dell’incarico ma non per questo elemento chiave del rapporto medico paziente. In parole povere, non può essere la legge della domanda e dell’offerta a condizionare l’alleanza terapeutica quale elemento di garanzia del successo della cura. È necessario nondimeno che vi siano adeguate prestazioni professionali, equamente remunerate. L’equo compenso tutela il professionista, ma anche il consumatore, che godrà di una prestazione seria ed affidabile».
Mauro Miserendino
Fonte: doctor33.it