Troppi strumenti usa e getta utilizzati rispetto alle prestazioni fatturate, per questo motivo un dentista di Genova, che da vent’anni esercita la professione in due studi, riceve un avviso di accertamento contro il quale fa ricorso prima alla Commissione Tributaria della Liguria e poi alla Corte di Cassazione.Tra le motivazioni del ricorso la non correttezza dell’accertamento induttivo/analitico, in particolare vengono contestate le valutazioni presuntive poste che, invece, per l’Ufficio che ha emesso l’accertamento era basato su “elementi gravi, precisi e concordanti, attesa la forte discrepanza tra l’entità del materiale utilizzato, indicativo degli interventi effettuati, ed i ricavi indicati in dichiarazione”.Sia per la Commissione Tributaria Ligure che per la Cassazione, il ricorso è stato respinto in quanto “in base alla logica e alla comune esperienza, è infatti ragionevole ritenere che a determinati consumi corrisponda un certo numero di prestazioni, con possibilità quindi di calcolo dei ricavi presunti”.Per i giudici della Cassazione, “fra gli elementi presuntivi semplici ai fini accertativi, purchè gravi precisi e concordanti, rientrano senza dubbio quelli relativi all’impiego di materiale di consumo, ove indicativi di rilevanti incongruenze tra costi e ricavi e, quindi, di attività non dichiarate o di passività dichiarate, secondo canoni di ragionevole probabilità”.
Stando a quanto pubblicato nella sentenza, sotto la lente del Fisco finisce il materiale di consumo “usa e getta”. In particolare per il calcolo utilizzato per risalire al presunto reddito, vengono considerati 1.215 guanti acquistati in un anno (2005), ai quali vengono sottratti quelli di misura più piccola utilizzati dall’assistente ed un ulteriore 10% imputato allo spreco. Considerati anche gli acquisti di 1.000 tovaglioli e 1.250 aspirasaliva al fine di determinare il numero di prestazioni odontoiatriche effettuate nel 2005 ed i correlati ricavi, “avuto puntuale riguardo alle diverse tipologie di prestazioni eseguite ed a la loro incidenza percentuale, anche sulla base delle indicazioni del contribuente, e con riferimento ai valori medi risultanti dalle tariffe ANDI per l’anno di accertamento”, si legge nella sentenza.Sulla base di questi parametri, è stato ricavato il presunto reddito contestato al dentista genovese, la sentenza non indica l’importo della dichiarazione effettuata dal professionista ed il reddito presunto dall’Ufficio.
La contestazione del dentista mirava a sottolineare, tra gli altri, come dai calcoli effettuati dall’Ufficio non era stato considerato che il numero dei guanti utilizzati per ogni tipologia di prestazione sarebbe superiore ad uno secondo la “comune esperienza” e come la contestazione del fatto presupponeva che il materiale acquistato in quell’anno, fosse stato utilizzato, tutto, nello stesso anno oggetto di accertamento.Giudici che precisano che “il ricorso per Cassazione, invero, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale avendo solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice e di merito al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge”.
In sintesi i giudici hanno confermato che il dato relativo all’utilizzo del materiale di consumo da parte di un dentista, costituisce elemento legittimamente utilizzabile per la ricostruzione presuntiva dei ricavi, pur non entrando nel merito del dato rilevato.
Fonte: odontoiatria33.it