“Referto al Parlamento” sulla gestione sanitaria dei servizi sanitari regionali 2016 della Corte dei Conti: i magistrati contabili sollecitano a tenere sempre “alta la guardia” perché la maggiore durata della vita e l’innovazione tecnologica di farmaci e dispositivi medici spingono inevitabilmente a un aumento della spesa, e “occorrerà valutare se le politiche di contenimento saranno compatibili con queste esigenze.
20 MAR – “I dati di contabilità nazionale dei recenti anni e le previsioni per i prossimi (sia pur con tutte le cautele che si possono esprimere sulle previsioni) confermano che il sistema sanitario italiano, a confronto con quelli dei maggiori Paesi europei, resta tra i (relativamente) meno costosi, pur garantendo, nel complesso, l’erogazione di buoni servizi. Deve essere attenzionata, peraltro, la tendenza ad un maggior ricorso a prestazioni svolte da privati, integralmente a carico dei cittadini”.
E ancora: “Confrontando le variazioni medie della spesa sanitaria pro capite totale (pubblica e privata) in termini reali nei principali paesi europei negli anni 2009/2016, solo l’Italia, insieme a Grecia e Portogallo, riduce la spesa per l’assistenza sanitaria, mentre tutti gli altri paesi considerati l’hanno incrementata”.
Questo il primo commento della Corte dei Conti nel suo “Referto al Parlamento” sulla gestione sanitaria 2016 dei servizi sanitari regionali in cui i magistrati contabili sollecitano a tenere sempre “alta la guardia” perché la maggiore durata della vita e l’innovazione tecnologica di farmaci e dispositivi medici spingono inevitabilmente ad un aumento della spesa, e “occorrerà valutare se le politiche di contenimento saranno compatibili con queste esigenze. E soprattutto se il sistema economico nel suo complesso sarà in grado di sostenere la richiesta di ulteriori risorse per il mantenimento di un adeguato livello delle prestazioni sanitarie erogate ai cittadini”.
Positivo invece è giudicato l’andamento in diminuzione del deficit, ridotto a circa un miliardo e con buone prospettive di rientro.
Prosegue anche la riduzione del debito verso i fornitori, ridotto di circa il 40% tra il 2012 e il 2016, anche se la massa resta ancor importante, con oltre 20 miliardi, sia pure al lordo della quota fisiologica di passività a fine esercizio. Coerente con questo andamento, a livello di comparto complessivo e al netto di specifiche situazioni, è la diminuzione dei crediti delle aziende sanitarie verso la Regione, indice di un più corretto e tempestivo trasferimento delle risorse agli enti che si trovano, quindi, a poter meglio gestire i pagamenti ai fornitori.
La Corte sottolinea anche che il Servizio sanitario nazionale, negli ultimi anni, non ha contribuito a far lievitare la spesa pubblica: rispetto al 2013, nel triennio 2014/2016 la spesa primaria corrente si incrementa di circa 21 miliardi, di cui 3 attribuibili alla spesa sanitaria, 17 alla spesa pensionistica e alle altre prestazioni sociali in denaro. Rispetto al 2012, invece, nel quadriennio 2013/2016 le uscite per il Ssn aumentano di 2 miliardi, quelle per le prestazioni sociali in denaro di circa 26 miliardi, di cui 11 miliardi per il pagamento delle pensioni, 3 miliardi per le indennità di disoccupazione e, tra le prestazioni assistenziali in denaro, quelle relative alla voce “Altri assegni e sussidi” di 11 miliardi.
La spesa sanitaria, nel triennio 2014/2016, cresce (+0,9%) meno della restante spesa corrente primaria (+1,0%), mentre spesa pensionistica e altre prestazioni sociali in denaro aumentano ad un tasso medio circa doppio (+1,8%).
La crisi economica iniziata nel 2008/20099, quindi, ha rimodellato il peso delle componenti di spesa del bilancio pubblico, stabilizzando quella relativa al Ssn al 6,7% del Pil nel 2016, e incrementando, anche in conseguenza degli effetti sociali della recessione, la spesa pensionistica e per le altre erogazioni in denaro alle famiglie nell’ambito dei sistemi di sicurezza e assistenza sociale (20,1% del Pil nel 2016). In particolare, nel periodo 2012-2016, la spesa corrente primaria incrementa da 67110 a 705 miliardi, ma le uscite destinate alla produzione di servizi pubblici, ossia i “consumi finali della pubblica amministrazione”11, di cui le spese per il Servizio sanitario nazionale rappresentano il 35,5% dell’aggregato12, si stabilizzano a 315 miliardi, riducendosi di circa 13 miliardi rispetto ai 328 miliardi del 201013, mentre aumentano di 26 miliardi, da 31114 (anno 2012) a 33.715 miliardi (anno 2016), i trasferimenti monetari dal bilancio pubblico per le prestazioni sociali in denaro di natura previdenziale e assistenziale.
Secondo il referto al Parlamento poi, nel periodo osservato sono cresciute le disponibilità liquide presso gli enti sanitari. “Questo fenomeno è ambivalente – spiega il referto -: per un verso segnala che i vari interventi hanno consentito un miglioramento dei flussi di entrata degli enti sanitari; per contro evidenzia una certa vischiosità all’interno delle procedure di pagamento, considerato che ancora è rilevante il debito e che ancora si rilevano pagamenti per interessi passivi per anticipazioni di cassa e moratori”.
Il sistema sembrerebbe ormai in equilibrio, commenta la Corte dei conti, ma per esserne certi bisogna attendere di verificare le coperture nella gestione successiva.
Per poter considerare il sistema strutturalmente riequilibrato sono due gli indicatori individuati:
– il ricorso alle coperture deve essere se non assente, limitato ad occasioni marginali
– il debito verso i fornitori deve essere sostanzialmente azzerato, salvo quanto attiene alla fisiologica dinamica dei pagamenti che si possono presentare a cavallo di due anni lasciando inevitabilmente dei residui.
E il referto sottolinea che “queste condizioni ancora non si sono avverate”.
In più “la politica di contenimento della spesa pubblica in generale ha compresso pesantemente l’ambito degli investimenti, ed anche il settore sanitario ne ha risentito. Ciò non contribuisce al rilancio dell’economia e incide qualitativamente sul livello dei servizi erogati”.
I problemi secondo la Corte dei Conti sono sempre gli stessi.
Al primo posto c’è il ritardo nella ripartizione del fondo sanitario nazionale. “Se uno dei pilastri della corretta e sana gestione finanziaria è dato da una tempestiva programmazione – si legge – di fatto tale principio è regolarmente frustrato dalla mancata individuazione in tempi adeguati delle risorse disponibili per i servizi sanitari regionali”.
Secondo la relazione questa situazione compromette un’efficiente gestione delle risorse e ne rende anche opaca la rappresentazione contabile che va avanti a suon di acconti periodici e regolazioni che avvengono ogni due/tre anni, con tutte le difficoltà del caso nella ricostruzione dei conti e nella loro lettura da parte di chi è chiamato ad effettuare le dovute verifiche.
Poi andrebbero individuati parametri obiettivi per la definizione del costo dei Lea erogati dalle Regioni a statuto speciale e dalle Province autonome, attualmente ancora escluse dal monitoraggio sull’erogazione dei Lea. La quota virtualmente loro assegnata (in realtà non ricevono fondi dallo Stato ma utilizzano fondi propri per il funzionamento dei rispettivi servizi sanitari) “corre il rischio di essere priva di effettivo significato e l’interpretazione dei risultati può dar luogo a valutazioni non coerenti con la situazione effettiva”.
Secondo la Corte “vanno approntate regole per l’omogenea integrazione dei conti del perimetro sanitario di cui al Titolo II del d.lgs. n. 118/2011, con il bilancio regionale generale disciplinato dallo stesso decreto legislativo. L’integrazione dei due ambiti potrebbe consentire una ricostruzione esaustiva dei conti regionali ai fini del coordinamento della finanza pubblica, e, conseguentemente, una più adeguata valutazione, da parte delle Sezioni regionali di controllo, dei conti delle Regioni e Province autonome anche alla luce dei risultati degli enti sanitari, come previsto dal d.l. n. 174/2012”.
Fonte: quotidianosanità.it