Medici pronti a espatriare: opportunità e stipendi all’estero

Solo in Europa occorrono 620 sanitari italiani: entro il 2020 tremila medici di famiglia sbarcheranno in Gran Bretagna nonostante la Brexit

 

“E’ vero in Italia il lavoro per noi medici non mancherebbe, ma occorrono pesanti raccomandazioni per poter entrare in un ospedale”. Il commento di un giovane medico neo specializzato fotografa la situazione sanitaria italiana dove più che il merito e la capacità valgono le conoscenze che si portano in dote. Meglio ancora se si fa parte di una lobby: il quel caso la strada diventa tutta in discesa. E così aumentano i medici e gli infermieri italiani pronti  a lasciare il Belpaese senza farsi spaventare troppo da dettagli come la conoscenza di una lingua straniera. Che per gli operatori sanitari ‘da esportazione’ non è più (solo) l’inglese ma anche francese, tedesco o perfino norvegese. “La situazione attuale in Europa è caratterizzata da una comune esigenza di personale sanitario/assistenziale, con accezioni e sfumature diverse da Paese a Paese. Il comune denominatore è rappresentato da sempre più richieste provenienti da case di riposo in costante aumento” spiega all’AdnKronos Salute Giuseppe Biazzo, Ad di Orienta Spa, una delle principali agenzie per il lavoro italiane, che stima in circa 620 le richieste attive di personale sanitario all’estero solo fra i partner di Orienta. In aumento, al momento, le richieste di medici italiani e di origine straniera da parte di Paesi europei (Inghilterra, Scozia, Belgio, Olanda), Arabia Saudita, Qatar, Siria, Libia, Iraq, Sudan e Somalia, insieme ad Africa e Sudamerica (specie Congo, Nigeria, Senegal ed Ecuador).

Allettanti anche gli stipendi: un medico di famiglia inglese percepisce l’equivalente di 126 mila euro lordi medi che salgono fino quasi a 140 mila se è maschio, scendono di circa 40 mila euro se è una donna oppure se ha meno di 45 anni. Uno specialista guadagna circa 10 mila euro in più alta ma occorre considerare che il costo della vita oltremanica è ben più elevato rispetto al nostro. Il medico di famiglia francese ha uno stipendio di circa 100 mila euro lordi medi che salgono di 6 mila con lavori aggiuntivi o se si opera in ospedale. Un medico spagnolo non se la passa bene: 51 mila euro, di reddito medio sul territorio e altri 3 mila euro in più se si è specialisti a cui va aggiunto un altro 10% se ha altri lavori. Più fortunati i tedeschi: la media è di 134 mila euro sul territorio e un 5% meno se si lavora in ospedale. Decisamente meglio va al camice bianco americano: 183 mila euro medi al generalista e 250 mila allo specialista ospedaliero.

Gli italiani, sono fanalino di coda con 66 mila euro con picchi di 72 mila euro per il Mmg con più assistiti o più over 75. Insomma, se la vita nel Vecchio continente si allunga, le opportunità professionali in questo settore per medici e infermieri multilingue si moltiplicano. Ma “l’appeal che queste strutture hanno sul personale italiano intenzionato a cercare lavoro all’estero è in genere basso – continua Biazzo – e ciò complica non poco il nostro lavoro. I candidati ricercano infatti principalmente strutture sanitarie, meglio se ospedali pubblici. Inoltre le aziende clienti richiedono sempre più una conoscenza linguistica maggiore, specifica per il Paese di destinazione finale. Per lavorare in Francia, Germania o Norvegia – sottolinea l’esperto – ormai la lingua inglese non è sufficiente: viene richiesta conoscenza, in alcuni casi anche dopo formazione specifica, di francese, tedesco, norvegese, e cosi via”.

Per quanto riguarda il Regno Unito, comunque, la carenza di figure sanitarie rimane elevata e la Brexit non ha semplificato la situazione per il servizio sanitario di Sua Maestà (Nhs). Secondo una recente indagine, pubblicata su ‘The Guardian’, dall’esito del referendum c’è stato un aumento del 28% del numero di infermieri europei che hanno lasciato la Gran Bretagna. Inoltre, fanno sapere da Orienta, dagli ospedali pubblici più appetibili per i candidati italiani arrivano richieste di personale già in possesso di Pin (registrazione al Collegio infermieristico inglese), ovvero di persone che hanno già superato positivamente il temuto test Ielts level 7 (International English Language Testing System, corrispondente a un livello C1 del quadro europeo).

“Solo alcuni gruppi strutturati di case di riposo offrono supporto per il conseguimento dell’attestato Ielts”, aggiungono da Orienta. In generale in Gb, Repubblica di Irlanda, Francia, Germania, Norvegia, Danimarca “assistiamo a una necessità diffusa di personale sanitario/assistenziale, in particolare in case di riposo. Al tempo stesso notiamo un’esigenza diffusa (questa anche sul territorio nazionale) di personale medico, che probabilmente si estenderà sul medio-lungo periodo. Il problema in questo caso è quello di mediare le aspettative del cliente finale (ospedale o casa di riposo) che comunque richiede, nella maggioranza dei casi, personale già formato per la lingua e in possesso della registrazione allo specifico Ordine nazionale”.

Ecco comunque nel dettaglio le richieste attive di personale sanitario all’estero secondo Orienta: in Gb “i nostri partner stanno progettando di richiederci oltre 300 General Practitioner (medici di famiglia); il sistema pubblico inglese, infatti, deve assumere almeno 5.000 nuovi Gp entro il 2020, di cui 3.000 dall’estero. Per quanto riguarda gli infermieri, siamo in grado di piazzare qualsiasi infermiere già in possesso del Nmc Pin Number e abbiamo circa 20 posizioni in case di riposo (per lo più in zone di campagna e comunque a bassa densità di popolazione, ovvero fuori città) per infermieri sprovvisti di registrazione al collegio Nmc (il cliente finale si fa carico della formazione linguistica)”. In Irlanda “ci chiedono infermieri con inglese livello C1. Qui non c’è il ‘problema Ielts’, ma comunque sono molto selettivi per quanto riguarda la lingua. Potremmo piazzare oltre 50 risorse”, ancora una volta “principalmente in case di riposo”.

Quanto alla Francia, “possiamo lavorare su circa 100 posizioni per medici specializzati (resta il problema della lingua e della registrazione presso l’ordine francese)”. Mentre in Germania “possiamo lavorare su circa 100 posizioni per medici specializzati (rimane ancora una volta la questione della lingua e della registrazione presso l’ordine tedesco)”. E in Norvegia “potremmo avviare gruppi di 50 infermieri da formare sulla lingua norvegese (con la formazione iniziale a carico dei candidati) per posizioni domiciliari e in case di riposo”. Una sfida nella sfida, i nostri operatori sanitari da esportazione. Come fare il primo passo? “Le persone interessate possono candidarsi sul nostro sito, oppure inviando una email a selezione.sanita@orienta.net”, concludono dall’agenzia.

I medici stranieri in Italia

Sono più di 65 mila i professionisti della sanità d’origine straniera: 18.500 medici; 38.000 infermieri; 3.500 farmacisti; 4.000 fisioterapisti e 1000 psicologi. La maggior parte lavora nelle strutture private italiane, anche perché i concorsi pubblici richiedono la cittadinanza italiana. È emerso a Roma al Congresso Amsi, Associazione Medici di Origine Straniera in Italia. Stando a quanto riportato da Amsi e Umem,Confederazione Internazionale Unione Medica Euro Mediterranea, il numero è in crescita rispetto agli ultimi anni, ma non di molto: gli arrivi, infatti (soprattutto da Siria, Egitto, Iraq, Africa), oggi sono bilanciati dalle partenze (per Europa dell’ Est, Libano, Israele, Somalia). “Negli ultimi 4 anni si registra un aumento del 20% di ritorni dei professionisti nei loro Paesi d’origine (specie Libano, Giordania, Romania, Albania, Paesi africani), per motivi economici o familiari”, spiega il professor Foad Aodi, Fondatore di Amsi. “Oltre a ciò registriamo anche un aumento del 30% delle richieste di professionisti italiani che chiedono di poter svolgere stage o lavorare all’estero“.  Inoltre si registra una diminuzione di oltre il 60% dei medici laureati dai Paesi dell’Europa dell’Est. “Ribadiamo – conclude Aodi – l’indispensabilità d’una vera legge europea sull’immigrazione. Vogliamo costruire ponti di dialogo, non muri di chiusura”.

Fonte: Dottnet.it

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