Quando si forma una società tra professionisti iscritti ad Ordini diversi, quest’ultima va iscritta nell’Ordine a cui appartiene la maggioranza dei soci e lì rimane finché restino soci soggetti ad esso appartenenti: solo se questi vengono a mancare può sussistere l’obbligo di iscrizione della società in un altro Ordine professionale.
Nel silenzio del legislatore può essere sciolto in questa maniera il nodo delle società multi-professionali (o multidisciplinari, secondo la definizione utilizzata nel Dm 34/2013) nell’ambito della disciplina delle società tra professionisti (Stp).
Il tema è tornato al centro dell’attenzione dopo la recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 19282 del 19 luglio 2018, di cui Il Sole 24 Ore ha dato notizia il giorno successivo. In quell’occasione, il giudice di legittimità, cassando una decisione del Consiglio Nazionale Forense, ha ritenuto legittima una società multi-professionale, costituita da due avvocati e da un dottore commercialista nella vigenza delle leggi n. 96/2001 e 247/2012, le quali ammettevano la società tra legali (Sta) ma vietavano la partecipazione al capitale sociale di soggetti diversi dagli iscritti all’Ordine degli avvocati.
Le Sezioni Unite decidono dunque per la legittimità “sopravvenuta” della Sta, in quanto dal 1° gennaio 2018, per effetto dell’articolo 1, comma 141, della legge 124/2017, è legittimo costituire una Sta multi-disciplinare rispettando i “paletti” dell’articolo 4-bis, legge 247/2012, introdotto dalla legge 124/2017, secondo cui i soci devono essere professionisti (ma non necessariamente avvocati) «per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto»; l’«organo di gestione» deve essere costituito solo da soci; la «maggioranza dei membri dell’organo di gestione deve essere composta da soci avvocati».
Le Sezioni Unite si fermano qui, conseguenza del fatto che oggetto di giudizio era una Sta costituita nella forma della società in accomandita semplice, partecipata da due avvocati (titolari dell’80% del capitale sociale) e un dottore commercialista (titolare del restante 20%). La sentenza non tocca, invece, la questione della partecipazione di “non-professionisti” al capitale sociale, né quella della “prevalenza” degli esercenti la professione forense rispetto agli esponenti di altre professioni.
Il vero problema della Stp multi-professionale è, infatti, quello della “prevalenza” di una delle varie professioni che la Stp annoveri nell’oggetto sociale, a cui la legge 124/2017 non dà alcuna risposta e la legge 183/2011 dà una risposta assai insoddisfacente, perché si occupa solo di legittimare la multiprofessionalità in generale (articolo 10, comma 8: la Stp «può essere costituita anche per l’esercizio di più attività professionali») e a definire i limiti per i soci “non-professionisti” (articolo 10, comma 3, lett. b): «il numero dei soci professionisti» e «la partecipazione al capitale sociale dei professionisti» devono essere organizzati in modo «tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci»).
Per trovare risposta al tema della “prevalenza” di una professione sull’altra bisogna ricorrere alla normativa secondaria, ossia al già citato Dm 34/2013 (emanato in attuazione della legge 183/2011, ma evidentemente valevole anche per dare attuazione alla legge 124/2017) il cui articolo 8, comma 2, sancisce che la società multidisciplinare è iscritta presso l’albo professionale «relativo all’attività individuata come prevalente nello statuto o nell’atto costitutivo».
Quando si costituisce una società multi-professionale occorre, quindi, non solo definire nell’oggetto sociale le professioni che la società intende esercitare (correlate alla presenza, nel capitale sociale, di soci iscritti al relativo Ordine) ma indicare anche quella “prevalente”. La mancata indicazione della prevalenza comporterebbe, infatti, la conseguenza che non si saprebbe a quale Ordine iscrivere la Stp.
Qui però viene il bello. Anzitutto da questo panorama normativo emerge che l’entrata o l’uscita di un socio da una Stp può provocare – fatto inedito nel mondo societario – la necessità di una contemporanea convocazione dell’assemblea dei soci per modificare l’oggetto sociale: o per estenderlo alla professione del nuovo socio (se si tratta di Stp che non praticava l’attività di questo nuovo socio) o per depennare la professione del socio che fuoriesce dalla Stp (se era l’unico esponente della professione dal medesimo esercitato). Inoltre, incrociando la normativa riportata, si dovrebbe trarre la conclusione che, così come un commercialista può partecipare “in minoranza” a una Sta (iscritta all’Ordine degli Avvocati), un avvocato dovrebbe poter partecipare (ma qui iniziano dubbi non irrisori) “in minoranza” a una Stp iscritta all’Ordine dei Commercialisti.
Sembra infatti implausibile che gli avvocati possano solo “ospitare” altri professionisti, in minoranza, in una Sta e non possano invece far parte, in minoranza, di una Stp, come se l’unico Ordine che possa legittimare l’esercizio della professione forense sia quello degli avvocati. E ciò anche perché non sono mai esistiti, e non esistono, limiti di nessun tipo alle alleanze tra avvocati e commercialisti nella forma dello “studio professionale associato”: sarebbe assurdo che l’alleanza realizzabile in forma di studio associato non fosse riproducibile in forma societaria.
Occorre, poi, anche affrontare il nodo del concetto di “prevalenza”. Per teste? Per quote di capitale sociale? Per quote di partecipazione agli utili? Per incassi? Per fatturato? Per redditività del fatturato? Per numero di clienti? Per numero di pratiche? Per una combinazione di questi fattori? E che periodo temporale va preso a riferimento per misurare questa prevalenza? Nessuna fonte dice alcunché su questi temi.
Che succede, ancora, se la “prevalenza” muta nel tempo? Se una società tra commercialisti e geometri dichiara nell’oggetto sociale la prevalenza dei geometri (e viene iscritta al Collegio dei geometri) e poi invece i commercialisti finiscono per essere prevalenti, occorre cambiare l’oggetto sociale e chiedere la cancellazione dal Collegio dei geometri e l’iscrizione all’Ordine dei commercialisti? E se successivamente accade il contrario, e cioè che i geometri tornano a essere prevalenti? Si ricomincia daccapo?
Infine, la madre di tutti i problemi: se si abbia una Stp con avvocati “in minoranza” i quali prendano il sopravvento, divenendo “prevalenti”, l’Ordine degli avvocati accetterà mai di iscrivere una Stp (anziché una Sta) o ne pretenderà la “trasformazione”? Viceversa: se in una Sta vi sia una “scalata” dei commercialisti, l’Ordine dei commercialisti ospiterà mai una Sta nel proprio ambito?
Da tutti questi problemi, come anticipato, emerge una sola soluzione: se il legislatore non provvede dall’alto una volta per tutte, la società si iscrive nell’Ordine dichiarato prevalente all’atto della sua costituzione e da lì non ha l’obbligo di muoversi – ma solo la facoltà – finchè ne siano soci (in maggioranza o in sopravvenuta minoranza) soggetti iscritti in quell’Ordine. Solo la mancanza di costoro può esser fonte dell’obbligo di iscrizione ad altro Ordine.
Fonte: A. Busani, Il Sole 24Ore, 5.8.2018