Non è consentito pubblicizzare la visita gratuita, se non in situazioni particolari. E’ questo quanto deciso dalla Commissione Centrale Esercenti delle Professioni Sanitarie in merito al ricorso di un direttore sanitario iscritto all’Ordine di La Spezia al quale era stata comminata la sanzione di sospensione di sei mesi. La vicenda però ha interessato anche altri ordini in quanto la pubblicità faceva capo ad una catena con sede a Milano ed il direttore sanitario prestava la sua collaborazione in più Centri.
Al direttore sanitario era stato contestato, nel 2009, di non aver verificato o di aver autorizzato il messaggio pubblicitario che recava questa informazione: “prima visita, diagnosi, radiografia e preventivo gratuiti”.
Direttore sanitario che attraverso i suoi legali ricorreva prima alla CCEPS (che riduceva a 5 i mesi di sospensione) e poi (2012) alla Suprema Corte di Cassazione che ha cassato la decisione e rinviato la causa alla Commissione Centrale. Ordine di La Spezia che ha proposto ricorso alla CCPES chiedendo di respingere in toto o in parte il ricorso dell’iscritto.
CCESP che respinge il ricorso confermando la sospensione.
Sulla possibilità da parte del professionista di poter prestare gratuitamente la propria opera la CCEPS evidenza che questo “è indiscusso” che lo possa fare ma in particolari circostanze, “suscettibili di essere individuate, oltre che sulla base di linee indicative dettate dall’Ordine di appartenenza, anche sulla base di un orientamento di buon senso, risultando l’elemento della ‘particolarità’ per sua natura circoscritto a casi non ordinariamente riscontrabili nell’ambito dell’attività professionale, ma i servizi offerti gratuitamente, secondo la pubblicità divulgata dal Centro di cui è responsabile il sanitario, risultano essere trattamenti sanitari all’ordine del giorno nel contesto di un Centro dentistico e non circoscritti neppure ad un determinato lasso di tempo, non integrando, perciò, quei caratteri di eccezionalità richiesti dalla disposizione deontologica di riferimento”.
“Simili indicazioni pubblicitarie risultano –si pronuncia la CCEPS- idonee ad ingenerare spinte consumistiche e comportamenti inappropriati da parte dell’utenza, magari indotta dal vantaggio economico a richiedere prestazioni non necessarie (in tal senso anche CCEPS dee. n. 26 del 27 maggio 2013)”. “Diversi sono gli aspetti e le fattispecie coinvolte in questo secondo grado di giudizio (e primo passaggio giurisprudenziale) che hanno visto più Ordini interessati, a cominciare da quello della visita gratuita”, spiega ad Odontoiatria33 Sandro Sanvenero (nella foto) presidente CAO di La Spezia.
“La sentenza ribadisce che non è consentito fare pubblicità generalizzando tale pratica, specialmente se finalizzata all’elaborazione di un preventivo”, ricorda aggiungendo. “Va evidenziato che la più volte richiamata sentenza della Corte di Cassazione n. 3717/2012 (proprio relativa a questo caso) ha stabilito che la conformità a veridicità e correttezza (del messaggio pubblicitario) debba essere stabilita sulla base del (solo) Codice Deontologico. Ebbene la norma deontologica di riferimento consente al medico di poter effettuare prestazioni (tra cui certamente rientra anche la visita) gratuite, tuttavia ne limita tale possibilità a particolari situazioni escludendo che possa rivestire una connotazione commerciale o sia finalizzato ad accaparramento di clientela”.
In sintesi la visita gratuita, dice il presidente Sanvenero, “diventa lecita nel caso in cui, circoscritta a casi particolari e temporalmente limitata, costituisce una occasione di prevenzione primaria e non sia finalizzata a mero veicolo pubblicitario commercialmente legata all’elaborazione di un preventivo. Ancor più vero se poi la prestazione viene accompagnata dall’esecuzione di esami strumentali, in particolare radiografici, la cui ripetizione senza reale indicazione espone il paziente a rischi per la salute non trascurabili”. Sanvenero che fa notare come il fenomeno della visita gratuita sia “praticamente circoscritto alla sola professione odontoiatrica”.
“Viene svilito –continua- l’atto medico principale, la diagnosi, da cui dipende tutta la catena che porta alla definizione della terapia e alla sua attuazione e riducendolo ad una pura operazione commerciale. Non ci si lamenti, poi, che gli odontoiatri non godono della stessa considerazione degli altri medici, e che spesso vengano ancora considerati solo ‘venditori di denti’ e non medici a tutti gli effetti quali, invece, sono. Infine il presidente CAO La Spezia ricorda come nel corso degli anni, ed a più riprese si sia sostenuto che non corrispondeva a verità l’interpretazione che indicava tra gli effetti della legge Bersani una completa e totale liberalizzazione della pubblicità abrogando qualsiasi altra norma di tutela, consentendo qualsiasi cosa. Elemento rafforzato dalla novella legislativa contenuta nella legge di bilancio 2019. Sanvenero rimanda ad un documento ad ok elaborato dal gruppo di studio CAO C’é.
“Ciò appare (ed appariva) logico sin dal principio”, continua. “La tutela della salute (singola e collettiva), nonchè la tutela della dignità della professione, sono poste ai vertici dei principi protetti dalle norme e costituiscono motivo imperativo di interesse generale tale da poter costituire una limitazione alla libertà di prestazione dei servizi (vedasi, ad esempio, le sentenze della Corte di Giustizia Europea C: 446/2005 e C: 335/2017), ovviamente secondo criteri di proporzionalità”.
Sanvenero che conclude ricordando come già il TAR Liguria ed il Consiglio di Stato (e recentemente anche il TAR Toscana) hanno sentenziato sulla vigenza (e legittimità costituzionale) degli artt. 4 e 5 della legge 175/92 ed adesso, alla ripresa dell’attività giurisprudenziale della CCEPS (che, come è noto, è rimasta per anni bloccata per la valutazione della Corte Costituzionale), le sentenze ci stanno dando ancora ragione”.
L’ora il direttore sanitario, entro 60 giorni, potrà eventualmente ricorrere in Cassazione.
Fonte: www.odontoiatria33.it