La recentissima iniziativa intrapresa dal Presidente di Omceo Milano contro Previmedical, che ripercorre esattamente quanto fatto dalla mia Cao oltre quattro mesi fa, riporta l’attenzione sul mondo della sanità integrativa .
Sull’argomento sono già stati versati fiumi di inchiostro, con interventi di svariati soggetti e anche personali, che qui riassumo: il sistema è stato disegnato per favorire l’accesso alle cure della popolazione senza aggravi per lo Stato, demandando al privato l’erogazione delle prestazioni, la scelta degli operatori, la stessa riscossione e gestione delle risorse economiche da dedicarvi.
Questo dovrebbe permettere allo Stato ulteriori risparmi (e non entro nella valutazione sulla necessità di trovare risorse sempre a scapito della sanità, che già oggi in confronto ai nostri partner europei appare abbondantemente sottofinanziata) permettendogli un graduale disimpegno da tutte quelle prestazioni di base (diagnostica, prevenzione, assistenza svantaggiati, long term care) a bassa intensità assistenziale ma ad alto impegno economico per la loro preponderanza numerica, tra cui anche l’odontoiatria.
Tale impostazione sembra essere confermata da quanto descritto nella bozza del Patto per la Salute 2019, art. 11, diramato in questi giorni.
Infatti vi si afferma “Si conviene di ampliare sia il novero dei soggetti iscritti e beneficiari del regime di vantaggio fiscale sia i soggetti beneficiari delle prestazioni anche con riferimento al periodo di collocamento a riposo e di cessazione dell’attività lavorativa. Si stabilisce inoltre che i fondi sanitari integrativi siano indirizzati, anche attraverso il ricorso alle agevolazioni fiscali, ad un ruolo di complementarietà dei Lea, in ambiti quali la prevenzione e gli stili di vita, soprattutto per le malattie croniche degenerative, l’implementazione dell’area sociosanitaria per la Long Term Care, e la compartecipazione della spesa sanitaria da parte dei cittadini, odontoiatria compresa la prevenzione in ambito odontoiatrico.”
Una prima apparente contraddizione: il sistema si basa su un generoso sconto fiscale, che anzi verrà ulteriormente ampliato a categorie oggi non coinvolte. Un drenaggio di fondi dalla fiscalità generale che non si capisce perché, una volta affidata la loro gestione ad un terzo soggetto privato che legittimamente opera per il profitto, dovrebbe generare economie a parità di qualità del servizio.
Si ribadisce poi che che non devono però avere carattere sostitutivo del finanziamento pubblico, e non devono consentire l’effettuazione di prestazioni inappropriate.
Perlomeno per quanto riguarda il nostro settore, uno dei principali fondi coinvolti sembra aver sposato perfettamente quanto previsto, avocandosi il giudizio sulla appropriatezza della scelta clinica e contemporaneamente andando nella direzione indicata dal comma 6: “si conviene di favorire il ricorso a strutture pubbliche o private accreditate per l’erogazione delle prestazioni agli iscritti ai fondi sanitari”, scaricando la riduzione di profitto legata all’ampliamento delle coperture sugli operatori, e imponendo contemporaneamente condizioni di adesione che, in cambio di una supposta esclusività di rapporto, diventano sempre meno remunerative.
Sempre nel Patto per la Salute si afferma che sarà rafforzato il sistema di vigilanza sulle attività svolte dai fondi integrativi per garantire maggiore trasparenza e tutela ai cittadini iscritti. Sarà quindi istituito presso il Ministero della salute un gruppo di lavoro misto, Ministero della salute e Regioni, che elabori un documento tecnico di proposta di revisione della normativa vigente e definisca anche le modalità di istituzione e funzionamento dell’apposito Osservatorio nazionale dei fondi sanitari integrativi.
Stupisce però che nella loro rinnovata funzione non vi sia cenno ad un coinvolgimento degli Ordini in tale processo di controllo, come garanti della qualità del servizio erogato; ancor più se si considera che in altre parti del Patto si fa cenno a revisioni dei rapporti con la componente medica interessata (MMG e ospedalieri) che necessariamente per poter essere attuati richiederanno anche l’assenso dei rispettivi sindacati.
Tale assenza a mio avviso deve essere colta. Secondo i dettati della legge Lorenzin, sta agli Ordini preservare il diritto di scelta del curante, la libertà di poter eseguire le cure più appropriate e la certezza che i piani di cura siano decisi non da funzionari di una qualche compagnia assicurativa, ma da personale avente titolo, e non su base esclusivamente economica. Ma se il silenzio della a componente medica, prevalentemente appartenente alla dipendenza, può almeno sperare in un inevitabile futuro coinvolgimento dei propri sindacati e del loro ruolo di contrattazione nell’attuazione del Patto, la parte odontoiatrica, ancora oggi prevalentemente libero professionale, non può contare altro che su una decisa e inequivocabile presa di posizione della propria dirigenza ordinistica, che dia pieno significato al concetto di rappresentatività e rappresentanza già presente nella legge e confermato da numerose sentenze. Il nostro settore non può delegare ad altri soggetti la definizione di un argomento così delicato. Affermarlo con orgoglio rivendicando la legittimità di azioni intraprese in autonomia sulla base delle proprie esclusive competenze e della propria riconosciuta capacità decisionale, come ha fatto a suo tempo la mia Commissione presentando il suo esposto , è l’unica strada per opporsi ad un disegno che nella sua formulazione attuale rischia di condizionare al puro interesse economico un comparto importante della sanità.
Gian Paolo Damilano Presidente CAO Cuneo